Sarto per Signora

 di Georges Feydeau

regia Alfredo Ruscitto

con Mario Lubino, Teresa Soro, Alessandra Spiga, Chicca Sanna, Antonietta Toschi Pilo, Alessandro Gazale, Paolo Colorito ed Emanuele Floris

scenografia Daniela Fara, costumi Teresanna Senes

musica Peppino Anfossi ed Andrea Fanciulli

luci e fonica Marcello Cubeddu, scenotecnica Scenosist

Tutta la vicenda gravita intorno al dottor Moulinaux, che nella versione bilingue sassarese-italiano della Compagnia si chiama Sarais, il quale per coprire un tentativo di scappatella extra-coniugale, inventa bugie sempre più inverosimili. Alla fine, invischiato nelle sue stesse finzioni, si trova nell'ingarbugliata situazione di farsi passare come "sarto per signora". Attorno a lui agiscono: sua moglie Giovanna, ingenua e fragile; la pedante e ficcanaso suocera signora Cartamantiglia; il compassato domestico Stefano; l'irresistibile sua potenziale amante Susanna, sposata con il giudice Caracciolo che è a sua volta amante della signora Bassu, che si fa passare per un'aristocratica sassarese dall'altisonante nome di Fontechiaro Guidobaldi, mentre in realtà era una ballerina da tabarin che in gioventù era stata l'amante del dottor Sarais; infine il signor Bassu, ficcanaso e rompiscatole dall'umanità fanciullesca, sfortunato marito tradito e abbandonato.

Le vicissitudini dei personaggi sembrano scaturire dal caso come un gioco del destino. In realtà Feydeau li obbliga, con micidiale precisione, ad una travolgente ed esilarante danza degli equivoci sempre più complessa ed intricata. Egli agisce come un burattinaio che a freddo inventa situazioni in cui i personaggi diventano dei puri meccanismi teatrali. La sua critica è rivolta soprattutto alla borghesia agiata, cinica, disincantata e bigotta della Belle Epoque, che però non è poi così dissimile da quella attuale. Per questo quando assistiamo alle sue pièce ci sembra di vedere, come in uno specchio deformato, i nostri molti vizi e le nostre poche virtù. Ridendo dei suoi goffi personaggi, in realtà ridiamo anche di noi stessi.

 foto di Michela Leo

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